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LE PETIT CRIMINEL Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 aprile 1991
 
di Jacques Doillon, con Gérald Thomassin, Richard Anconina, Clotilde Courau (Francia, 1990)
 

"Quattordicenne disadattato in casermone di periferia rapina una farmacia (per cento franchi, che gli servono per partire alla ricerca di una sorella della quale gli avevano sempre nascosto l'esistenza; più un flacone di shampoo, che insiste per pagare alla commessa, prima di uscire dicendo grazie e buongiorno), prende un poliziotto in ostaggio, fugge in macchina verso il mare, tenta di ritrovare la sorella, cerca di ritornare a scuola, finisce al commissariato e davanti al giudice dei minorenni.

LE PETIT CRIMINEL è la storia (fuga a tre, che sappiamo benissimo come andrà a finire), l'ambiente (gli appartamenti troppo piccoli, i muri scrostati, gli ascensori che non funzionano mai, la strada coi graffiti ed i vagabondi, i ragazzini che si arrangiano a diventar grandi), il personaggio (l'adolescente scontroso e sensibile; il poliziotto che è come lui e sa di esserlo; la ragazzina che è a metà strada fra i due) che la realtà - il telegiornale che rappresenta ormai la realtà - ci ha mostrato un milione di volte. Ed è' quel thriller, quel poliziesco sull'infanzia disadattata, che il cinema ci propina da sempre.

Ma di questa dimostrazione sociale che ci trova ormai anestetizzati, il film di Jacques Doillon ha tutto e niente. Tutto, perché la secchezza della progressione drammatica, l'economia degli spazi, l'imprescindibilità della sua scadenza concorrono ad iscriverlo in una fuga in avanti che lo carica di fortissima, ma estremamente naturale tensione. E niente: perché la fuga dei personaggi dapprima, la loro continua rimessa in questione in seguito, la loro determinata presa di coscienza infine, sono del tutto interiori.

Doillon, come ci ha mostrato la sua opera precedente, è un fanatico cesellatore del rapporto regista - attore, oltre che un colto ed istintivo rifinitore dei dialoghi. A volte questo suo cinema è sfociato nell'intellettualismo fastidioso, oppure nel parossismo quasi isterico dei rapporti fra i personaggi: quasi a trovare rifugio, in questi eccessi, da una propria dilagante sensibilità. Ma è anche, Doillon (e lo si è visto di recente in LA FILLE DE QUINZE ANS) un maestro nell'inventare delle storie che legano gli adulti ai giovani. Dall'attenzione maniacale per la direzione degli attori gli nasce fra le mani il senso del naturale: qui, quel Richard Anconina capace del meglio come del peggio, è di una credibilità commovente - con la sua fragilità, la sua stanchezza, i suoi dubbi ed i suoi indimenticabili silenzi - nel ruolo del poliziotto. Ed i suoi adolescenti sono una meraviglia di giustezza. Avrebbero potuto essere una somma di luoghi lacrimosamente comuni: l'incontro fra le sguardo letterariamente impeccabile di Doillon ed il loro bagaglio istintivo di memorie non recitate ne fa un istante miracolosamente protratto di verità esistenziale.

LE PETIT CRIMINEL è l'incontro di un tono estremamente naturale, quasi da cinema-verità, da psicodramma alla Cassavetes, con una struttura drammatica di precisione esemplare. Il risultato è un tono delicato, commosso ed impregnato di humour, esitante o prorompente come le cose dell'adolescenza, le loro contraddizioni e le loro intuizioni. Rapporti di forze costantemente rimessi in discussione, in una ronda di sentimenti, d'esitazioni, di dubbi e di certezze dettate dall'intelligenza. Certo, dietro la levità e la verità del dialogo (LE PETIT CRIMINEL è un film d'azione trasportato dalla sapienza della parola), dietro l'analisi dei rapporti fra i personaggi c'è il riferimento culturale ai temi tradizionali della filiazione, delle ricerca del padre, dei traumi magari un attimo manicheisti causati dalla mancanza dell'identità.

Ma la formidabile emozione poetica di quello che è certamente uno dei film più giusti e toccanti che mai siano stati girati sul difficile accesso all'età adulta, sulle responsabilità e le ambiguità che accompagnano la società quando assiste a questo fatto, nasce dal linguaggio (quello registico come quello del ragazzino) al tempo stesso amaro e scanzonato. Quel tono disincantato nel trattare le cose più drammatiche che è tipico del nostro tempo.

Dai tempi dei QUATTROCENTO COLPI di Truffaut il cinema aveva perso lo stampo di questa delicata alchimia: in questo film insostenibilmente leggero sulla gravità dell'essere, in questo spaccato del nostro tempo che si segue con l'intensità di un thriller c'è tutta l'analisi di una società, lo scontro delle psicologie nella forma di un poema sull'uomo in divenire."


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